
A nessuno piace litigare, probabilmente il divorzio congiunto è la soluzione più indolore, sia dal punto di vista dello stress che subirai da questa esperienza non proprio piacevole, che da quello più strettamente economico. Attenzione però, una volta avviato il procedimento, non potrai ripensarci!
Seguici nel ragionamento logico deduttivo illustrato dalla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ed eviterai di fare passi falsi.
Indice
- La domanda congiunta di divorzio
- La revoca del consenso
- Differenze rispetto alla separazione
- Il caso deciso dalla Corte di Cassazione
La domanda congiunta di divorzio
Il divorzio su domanda congiunta consiste nel richiedere al Tribunale lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del matrimonio se concordatario, dopo avere fissato di comune accordo le condizioni che disciplineranno la fine del rapporto matrimoniale. Per ciò che concerne la procedura, si rinvia al nostro articolo GUIDA PRATICA AL DIVORZIO
La revoca del consenso
Secondo la Corte di Cassazione, l’accordo sotteso alla domanda congiunta di divorzio riveste natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, la cui sussistenza è soggetta alla verifica da parte del Tribunale, avente pieni poteri decisionali al riguardo, mentre ha pieno valore negoziale per quanto riguarda i figli ed i rapporti economici, nel cui merito il Tribunale non deve entrare, salvo che le condizioni pattuite non siano in contrasto con l’interesse dei figli minori di età.
Ciò posto, la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, mentre appare irrilevante per il suddetto primo aspetto, in quanto il ritiro del consenso non impedisce al Tribunale la verifica dei presupposti necessari per ottenere la pronuncia di divorzio, è inammissibile sotto il secondo profilo, dal momento che la natura negoziale dell’accordo intervenuto tra le parti in ordine alle condizioni di divorzio esclude la possibilità di ripensamenti unilaterali.
Differenze rispetto alla separazione
Non è possibile porre sullo stesso piano la separazione consensuale con il divorzio su domanda congiunta, stanti le importanti differenze riscontrabili tra le relative discipline. Nella separazione il Tribunale è chiamato ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo raggiunto dai coniugi mediante un’attività di controllo che però non può mai tradursi in una sostituzione o in una integrazione del consenso delle parti, mentre nel divorzio, pur muovendo da un ricorso congiunto, viene richiesta una pronuncia costitutiva, fondata sull’accertamento dei presupposti richiesti dalla Legge n.898 del 1970, articolo 3, con la conseguenza che il primo è annoverabile fra quelli di volontaria giurisdizione ed il secondo nella giurisdizione contenziosa. Il consenso alla separazione consensuale deve essere reiterato, a pena di inammissibilità, dai coniugi in sede di udienza.
L’articolo 711 del codice di procedura civile individua il momento in cui avviene la formale dichiarazione di consenso non già nel deposito del ricorso introduttivo del giudizio, bensì nell’udienza di comparizione davanti al Presidente. Il ricorso è quindi un semplice atto di impulso processuale, prodromico alla vera e propria manifestazione del consenso, che viene manifestato a verbale dell’udienza presidenziale.
Il caso deciso dalla Corte di Cassazione
La Suprema Corte con la recente sentenza n.10463 del 2018, ha riconfermato un concetto già espresso sin dal 1998, con la sentenza n.6664, ritenendo la domanda congiunta non come somma di domande distinte oppure come adesione di una delle parti alla domanda dell’altra, bensì come iniziativa comune e paritetica, pertanto rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi.